Gabriele D'Annunzio

da Le cento e centoe cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D’Annunzio tentatodi morire
 

da p. 123,  1

  FRA TUTTI gli sguardi umani [ahimè, non conosco il miosguardo se non nell’adulazione delle donne che tuttavia preferiscono inme non so quale cosa crudamente cieca, ahimè, se non nelle esclamazionidei soldati dopo l’impresa da me forzata e condotta] fra tutti gli sguardiumani m’è fiso nella memoria quello di un coltivatore di api, d’unproduttore di miele, che – nella sua visita primaverile agli alveari –traeva dal melario i telaini come libri rari da una biblioteca giacente,li sollevava con dita di liutaio, li esaminava volgendoli e rivolgendolinella luce e nell’ombra; li riponeva, ne prendeva un altro. io ho quellosguardo, mi sembra, o almeno vorrei averlo quando esamino una mia pagina– rettangola anch’essa – o una pagina d’altri, o una qualunque opera d’arteovvero frammento di arte: lo sguardo tecnico, lo sguardo del mestiere,della disciplina, del perfetto conoscimento.
 
 

da p. 126,  15-7   [aproposito di Montaigne]

   Di tutte le sue letture e di tutti i suoi studii alfineei seppe fare il suo miele. ogni succo e ogni sostanza ei convertìnel suo miele; che non ebbe il sapore del timo o della salvia o del serpilloma un sapor singolare, un sapore unico, il suo sapore, il sapore e il profumodell’arnia sua laboriosa.
   Così fu egli nel suo secolo e ne’ secoli la perfettissimaApe: l’ape che mellifica e che pugne: l’ape che produce la cera come materiaper le sue costruzioni e non per illustrare alcuno altare, alcun casolare:insomma l’ape moritura e immortale nominata Ego.
   Quanto son io riconoscente a questo Montagna per questasua dottrina lirica che, senza conoscerla, io esercitai fin dalla primaadolescenza e più profondamente esercito nella mia vecchiezza robusta.[…]